lunedì 4 maggio 2009

Lo sguardo

15 palle, 2 giocatori, bilie piene e vuote, 8 e 15 iN buca laterale, 1 palla finale.
Il gioco del biliardo è piuttosto semplice, le regole sono poche, il campo è limitato, nessun grosso sforzo fisico. Serve un pò di applicazione, un occhio allenato per calcolare l'angolo di impatto, l'effetto da dare alla palla battente, in che punto colpire la sponda per effettuare il "calcio" e come sfacciare una palla per galvanizzarsi con una "sponda corta e buca d'angolo".
Ogni colpo è preparato per il successivo, è piuttosto un gioco di strategia che di abilità. Dopo un pò i colpi sono acquisiti dal praticante e ad ogni palla corrisponde un colpo provato e riprovato più volte. La giusta sequenza di infilate garantisce la vittoria con un certo margine di sicurezza.
E ,non ultima, una sana botta di culo ogni tanto non guasta, spettacolarizza il gioco e fa incazzare l'aversario, come è giusto che sia.
Ma non era la disposizione delle palle ad occuparmi i pensieri quella sera.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, ero completamente calamitato nella sua direzione.
La sentivo in bocca, negli occhi, non passava nemmeno dagli orecchi entrava direttamente nel cervello, era tattile, concreta. La potevo respirare. Sentivo il suo profumo, non quello sintetico, ma quello intimo della sua pelle.
Lei semplicemente emanava.
Nemmeno l'avevo sentita entrare nella sala biliardi, mi ero girato inconsciamente, nessuno stimolo visivo o uditivo a farmi volgere il viso nella sua direzione. Avevo incrociato i suoi occhi immediatamente e i aveva risucchiato dentro.
Stava con un tizio approssimativo, nulla che lo distinguesse fisicamente o caratterialmente.

mercoledì 29 aprile 2009

Anime strappate

Una sorta di semioscurità si propagava dall'interrato, la luce del locale al piano terra non scivolava sulle scale accompagnandomi. Arrancava impaurita, ad ogni scalino, diventava più timida e fioca. Non era la luce a bucare il buio, era una specie di enorme ombra che emanava dal seminterrato, si propagava dalla bocca spalancata del più triste locale che avessi mai visto.
Non triste, meschino.
La tristezza ha una connotazione nobile, l'anima piegata vi trova al suo interno un tepore piacevole.
E' una squisita condizione umana che genera tenerezza in chi osserva, muove a compassione gentile, impossibile non parteciparvi anche an passant.
La meschinità è più viscida, corrompe ogni cosa su cui cala, pulsa gelatinosa, dolciastra, unta, striscia silenziosa tra gli sgabelli arrampicandosi sulle sedute e avviluppando l'ignaro avventore che sorseggia la sua dose momentanea di anestesia.
In quel posto giageva sbracata e volgare come la bocca di una puttana con un rossetto scadente.
Era uno spazio incongruo, ogni cosa sembrava fuori posto, come se fosse stata pigiata all'interno alla rinfusa senza criterio, senza gusto.
Il bancone era costellato di bruciature di sigaretta, memoria storica del tempo in cui nei locali era consentito fumare, migliaia di cicatrici, ogni sigaretta una storia o una parvenza di storia.
C'erano i tavolini addossati alla parete, con le panche modello bar americano. Ogni tavolino corrispondeva a una applique, protetta da una grata metallica, come quelle delle gallerie, e gettava un alone di luce sporca, un maldestro tentativo di bucare la penombra sovrana. Immancabile, come un occhio pesto di un pugile, una lampada fracassata.

venerdì 3 aprile 2009

Giudici e assassini

Giudici e assassini

Qualcuno dice che non mi riconosce in questo blog, che non sono il ragazzo che conosceva, che questa versione di me non piace, non combacia con l'immagine che aveva in testa.
Può essere vero per certi versi.
Per chi ha sempre una risposta per tutto, per chi giustifica le proprie azioni condannando le mie. Per chi vive a proprio agio nella sua sfera di certezze, mentre annaspo nell'indefinito, nello sfumato.
Per chi si ferma alle parole e non legge tra le righe, per chi ha occhi e non li usa per guardare oltre il margine.
Per chi scaglia il sasso e si nasconde nell'anonimato
Questo è un blog che ho fatto per me, per sputare il veleno che avevo dentro, senza ferire nessuno, senza condannare nè assolvere.
Nessuno è costretto a leggere.
Chi lo fa vede la mia parte piagata, quella che non posso mostrare, quella che si tiene nascosta perchè fa ribrezzo. Nessuno la vuole vedere.
Questo è il mio lazzaretto, la peste è al suo interno.
Vuoi entrare? Sai quello che trovi.
Potresti non trovare più l'uscita, rigirati dentro come un pazzo e ritrovarti addosso l'infezione, o magari trovi la cura.
Quello che c'è qui non cambia quello che sono. Non sono assolutamente diverso da quello che sono stato finora. Magari la scorza è più dura, la corazza più spessa.. ho ricevuto bordate che sfiancherebbero chiunque.
Non ho trovato nessuno che mi desse ascolto, non potevo tenermi dentro tutto.
Io non so quello che sono, e di sicuro non sarò quello che tu vuoi che io sia per te.
Ma so quello che non sono.
Se non ti stà bene gira al largo, se vuoi entra, ma non ti aspettare che ti accompagni all'uscita.

Gente di notte

Gente di notte

La guardia non ha un volto.
E' un involucro vuoto, senza emozioni,
accentra su di se le peggiori inclinazioni umane.
E' sede di vizi e debolezze, dedita all'alcol e alle puttane.
Non ha un'anima.
E' solo un numero su un documento.
La sua condizione prima o poi lo rende omicida.
Il primo omocidio di ogni guardia è il proprio.

I quotidiani ci vanno giù di brutto. Ogni volta che leggo un titolo del genere "Guardia giurata uccide la moglie" oppure "Ex guardia giurata spara al figlio" mi incazzo. Viene da pensare che il fatto stesso di essere o essere stato una guardia giurata implichi il fatto che prima o poi doveva succedere. Prima o poi doveva sbroccare.. tutti i media rincarano la dose se poi a fare il furto o "l'azione delittuosa" e sempre la categoria delle guardie. Pare che non si salvi nessuno.
Io faccio parte di quella categoria, bistrattata, sempre al centro di polemiche, con compiti che non sono chiari alla maggior parte delle persone, perchè di noi a nessuno frega niente. Non contiamo un cazzo, ci potete sputare addosso e insultare, non siamo pubblici ufficiali. La divisa è un limite solo per noi, non ci permette di difenderci, dà la possibilità agli altri di prederci per il culo. Possiamo solo scappare se c'è la possibilità di essere in pericolo. Mettere mano all'arma è già un reato. Posssiamo solo rispondere al fuoco, il che vuol dire che prima ci devono sparare addosso, poi, se ancora siamo in vita..
E' un lavoro per disperati. Siamo da soli per tutta la notte, in auto. Non importa se piove, nevica, se la nebbia non ti fa vedere al di la del cofano, se fa freddo che le dita perdono sensibilità, se le strade sono ghiacciate e l'auto fatica a rimanere in strada.
Non importa chi incontri al buio, chi ti attende nel buio. Non parlo di un ladro dietro un angolo già con il piede di porco in mano, pronto a calartelo sulla testa. Parlo dei ricordi che si nascondono in un'ombra gettata da un'albero, dai visi che riappaiono quando una nuvola oscura la luna, dei fantasmi che popolano la nostra testa, dei rancori e dei rimpianti, degli amori e di tutta quella parte di vita che di notte non si vede e che appare ancor mano evidente alla luce del sole.

Legione

Sottovoce

Sottovoce

I ricordi sanno essere davvero dei figli di puttana. Non ti avvertono, non fanno rumore. Sono allenati a prenderti alle spalle. Si confondono tra mille altri, spariscono dalla vista per un pò; quando si affacciano alla memoria non li riconosci subito. Apri al loro bussare e ti piantano un cazzotto alla bocca dello stomaco, non fanno sconti. Si infilano tra le pieghe del tempo, si appiattiscono alle mura dell'ingenuità e striscano fino alla nostra gola serrandola, certe volte pare di soffocare. Sono i demoni dell'inferno, godono a tormentare i dannati.
Non chiedono scusa.
Non dormono.
Non hanno pietà.
Lasciano solo cadaveri orrendamente straziati al loro passaggio e il tanfo di morte che avverte della loro presenza quando ormai è già troppo tardi. Appestano gli anfratti del cuore dove teniamo le sensazioni ancora scevre del loro putridume. Ma i miasni del loro respiro giungono anche sin qui, le ombre macabre dei loro profili si disegnano sulla retina.
Ghignano, vomitando risate oscene.
Picchiano senza posa, non si stancano mai. Mai.
E' come la stanza delle torture. L'inquisitore recita i capi d'accusa mentre il carnefice con il cappuccio si prodiga a infliggere dolore.
Ma non le sentite le urla?
Sono grida che fanno accapponare la pelle.
Sono sordi.
Macchine perfette a moto perpetuo.
Perchè non possiamo scegliere cosa ricordare e cosa lasciare agli avvoltoi dell'oblio?
Il peso è enorme, il prezzo troppo alto da pagare
Ho la vista appannata, forse stò perdendo conoscenza.
L'incoscenza finalmente mi dà un pò di tregua, è come una carezza di un'amante. Guida la mia testa sulla sua pelle, sento il suo calore.
Posso chiudere gli occhi.
Ora sono al sicuro.

Legione

giovedì 2 aprile 2009

Da qualche parte bisognava ricominciare..

Di nuovo sulla breccia, sempre in trincea, con la pioggia che impregna la giacca e il fango che si incolla sotto gli scarponi.
A guardare nel buio, attraverso il buio.
Ci sono cose che si muovono, che strisciano, che respirano.
Ci sono sempre state, nel tempo, prima del tempo.
Un'ombra fugace e un rumore sordo, un boato nella notte, odore di cordite.
Metallo in bocca, odore di rame, sapore di rame.
E veleno, ancora veleno da sputare e pezzi da ricucire, bauli vecchi e logori, foto ingiallite e sbrecciate, consunte, opache.
E' ora..