mercoledì 29 aprile 2009

Anime strappate

Una sorta di semioscurità si propagava dall'interrato, la luce del locale al piano terra non scivolava sulle scale accompagnandomi. Arrancava impaurita, ad ogni scalino, diventava più timida e fioca. Non era la luce a bucare il buio, era una specie di enorme ombra che emanava dal seminterrato, si propagava dalla bocca spalancata del più triste locale che avessi mai visto.
Non triste, meschino.
La tristezza ha una connotazione nobile, l'anima piegata vi trova al suo interno un tepore piacevole.
E' una squisita condizione umana che genera tenerezza in chi osserva, muove a compassione gentile, impossibile non parteciparvi anche an passant.
La meschinità è più viscida, corrompe ogni cosa su cui cala, pulsa gelatinosa, dolciastra, unta, striscia silenziosa tra gli sgabelli arrampicandosi sulle sedute e avviluppando l'ignaro avventore che sorseggia la sua dose momentanea di anestesia.
In quel posto giageva sbracata e volgare come la bocca di una puttana con un rossetto scadente.
Era uno spazio incongruo, ogni cosa sembrava fuori posto, come se fosse stata pigiata all'interno alla rinfusa senza criterio, senza gusto.
Il bancone era costellato di bruciature di sigaretta, memoria storica del tempo in cui nei locali era consentito fumare, migliaia di cicatrici, ogni sigaretta una storia o una parvenza di storia.
C'erano i tavolini addossati alla parete, con le panche modello bar americano. Ogni tavolino corrispondeva a una applique, protetta da una grata metallica, come quelle delle gallerie, e gettava un alone di luce sporca, un maldestro tentativo di bucare la penombra sovrana. Immancabile, come un occhio pesto di un pugile, una lampada fracassata.

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